Ridefinisco in voglio o faccio: non oppongo il difficile dello sgorga naturale: non vi sento eco: artificiale vs naturale. Forzo in duro il limpido: cerco un precipitato opaco ma non oscuro – il poetico grazie al poco chiaro è un effetto nefasto del Piccolo Mallarmé Illustrato anche se, a volte, accuso il tratto: calco il gesto in Vedranno. Ritmica e suono proiettano il chiaro del narrativo in irriconoscibile o si deforma come la velocità varia secondo l’ellissi – basta scomporre il movimento per fare riapparire il motivo. Vivo senza posa la ripetizione: la sensazione si perde nel poco: ogni testo diviene il fissa immagine. Allora, la sintassi sconvolta rivivifica l’esperienza del visto e vissuto tornata all’opacità prima in cui l’opaco è il pudore che il falso intimo rivela – senza fine biografico – in cui l’opaco dice tutto ciò che non capisco – non faccio finta – in cui l’opaco fa la prova del lettore accanito in analogo – l’analogia dice no al realismo. Il complesso del davanti a sé, né lineare, né trasparente, impone di dire uno spessore. Penso lo spessore come una superficie grammaticale. Imbarazzo e ingombro la superficie grammaticale. Mi affido alla superficie grammaticale in quanto superficie autonoma dal suo soggetto e emotiva. La superficie emotiva è una superficie tremante – quindi un po’ torbida. Un po’ mi basta – percezione e sensazione – per formare questa superficie. (Traduzione di Andrea Raos)